Dalla memoria alla storia ... e viceversa
PROGETTAZIONE E COSTRUZIONE DELLA SCUOLA ELEMENTARE (dal 1911 … al 1930)
Di solito tra la prima proposta di costruzione e la prima progettazione di un edificio pubblico e la sua effettiva realizzazione passano anni, tra discussioni, deliberazioni, rettifiche e modifiche dei progetti, ricerca e ottenimento di finanziamenti con mutui statali e/o prestiti bancari locali, affidamento di appalti e intoppi burocratici degli Enti superiori di competenza. E così è stato anche per il lungo e tormentato iter della scuola elementare di Castello d’Argile.
Se ne cominciò a parlare nel settembre 1911 quando era da poco insediato il nuovo Consiglio comunale e la nuova Giunta composta da socialisti, e la proposta venne avanzata dal dottor Giovanni Simoni, consigliere e farmacista locale. Fu nominata quindi una Commissione incaricata di approfondire il problema e valutare le possibilità di realizzazione, contando sulle “grandi facilitazioni” per ottenere mutui con la Cassa Depositi e Prestiti, previste dalla nuova legge Daneo-Credaro che avocava allo Stato l’istruzione elementare (prima gestita dai Comuni).
Ma le difficoltà di bilancio e anche i contrasti interni alla Giunta distolsero l’attenzione dalla scuola.
Se ne riparlò nel 1913 quando fu affidato l’incarico di progettazione di una nuova scuola elementare all’ing. Alfredo Carpeggiani, centese, che fu ingegnere comunale per Argile dal 1910 al 1922 (con intervallo negli anni in cui fu richiamato alle armi). In archivio c’è ancora il suo progetto che mostrava il disegno di un edificio molto imponente e dalle linee architettoniche elaborate e decorative. Ma non se ne fece nulla perché la Giunta provinciale lo giudicò troppo costoso e lo rimandò indietro per due volte, nonostante il ridimensionamento praticato dal Comune. Restava approvata solo la scelta di costruire l’edificio nel comparto sud-ovest delle ex Fosse, di proprietà comunale, con l’aggiunta, in permuta, di una piccola area confinante di proprietà di un bottegaio del luogo che vi teneva una ghiacciaia (Pizzoli).
Ma di lì a poco, nel 1915, anche l’Italia entrava tra i belligeranti nella Prima Guerra mondiale scoppiata l’anno precedente e, tra restrizioni di ogni genere, le poche risorse disponibili per opere pubbliche, tramite mutuo, furono destinate alla costruzione e arredamento dell’ambulatorio medico nel retro del Municipio e del macello pubblico in fondo a via Croce (1917) e poco dopo un locale di isolamento per malati contagiosi (di influenza spagnola in particolare).
Gli anni che seguirono alla fine della guerra (1918-1922) furono ancora più difficili, quando non tragici, travagliati anche dagli effetti sulle famiglie della guerra e della micidiale influenza detta spagnola che causarono tante vittime, dalla crisi economica che imponeva il razionamento dei generi alimentari, dal disagio degli ex combattenti e reduci di guerra, dai durissimi contrasti politici e conflitti sociali, con scontri anche sanguinosi tra socialisti, fascisti e forze dell’ordine, che culminarono con la presa del potere a livello nazionale da parte nel nuovo Partito Nazionale Fascista nell’ottobre 1922, con l’appoggio del Re.
Ad Argile il Municipio fu occupato da squadre di fascisti venuti da fuori, furono fatti decadere Consiglio e Giunta socialisti (ultimo sindaco Attilio Gadani) e subentrò un Commissario prefettizio per gestire l’ordinaria amministrazione. In una delle ultime sedute di Consiglio prima della decadenza, gli amministratori uscenti espressero il loro rammarico per la mancata realizzazione del nuovo edificio scolastico ad Argile “a causa della tanto deprecata guerra “ ricordando che “il progetto dell’ing. Carpeggiani era andato avanti e indietro per gli uffici governativi per oltre 10 anni” e alla fine, quando tutti i permessi erano arrivati, la somma necessaria per la costruzione era salita dalle 170.000 lire del 1915 al milione richiesto nel 1920 a causa del deprezzamento della moneta. Impossibile allora affrontare la spesa.
Nel febbraio 1923 si tennero le prime, ed uniche, elezioni amministrative del nuovo regime e vinse una lista detta “di blocco”, che comprendeva fascisti, liberali, ex combattenti e cattolici; nel Comune si insediò il nuovo sindaco Primo Cortesi, argilese, già commerciante di stoppe che aveva fatto fortuna ed era diventato possidente di terre e case e una bella villa (ex Rusconi) in Argile. Nel 1924 si fece anche imprenditore acquistando la piccola fornace che era stata costruita nel 1920 da una cooperativa su terreno di sua proprietà in via Suore, per utilizzare la buona argilla dell’argine dismesso del tratto di Reno abbandonato nel 1887, dopo il taglio con “drizzagno” del suo alveo, tra Argile e Bagno. Cooperativa formata da 23 soci, giornalieri e fornaciai saltuari prevalentemente socialisti, che lavorarono assiduamente per due anni, ma che con l’avvento del fascismo e le conseguenti requisizioni e imposizioni, nel 1923 fu costretta a sciogliersi, cedere l’attività e vendere materiali e strutture a Primo Cortesi, allora sindaco del Comune. Cortesi ampliò la fornace dotandola di tutte le strutture e materiali secondo il modello Hoffman, allora il più aggiornato e usato per ottenere la maggior produzione (v. vol. II pag 460-462).
Ma il progetto per la scuola ancora non andò avanti, e ci si impegnò per la costruzione del Monumento ai Caduti, opera dal valore simbolico allora molto sentito, inaugurato nel 1924 con grande concorso di autorità venute da fuori.
Nel frattempo era stato nominato un nuovo ingegnere comunale, Giovanni Berselli di Cento; ma soprattutto cambiò l’amministrazione del Comune, passando dal sindaco Primo Cortesi al Podestà Gabriele Gandolfi, per effetto della legge Rocco del febbraio 1926 che, tra l’altro, aboliva di fatto i consigli comunali e istituiva la carica del Podestà nei comuni con popolazione sotto i 5000 abitanti, prima, e con regio decreto 3 settembre 1926, estendeva infine l'ordinamento podestarile a tutti i comuni del regno. Podestà che era nominato dal governo tramite regio decreto ed aveva ampi poteri personali di scelta e gestione amministrativa.
Con Decreto Reale del gennaio 1927 Gandolfi fu nominato stabilmente Podestà ( e confermato poi nel 1932 fino al 1937) e in questa veste, e pur alle prese con vari altri problemi economici e di bilancio, decise di riprendere in mano il progetto di costruzione di una scuola elementare, a partire dal 1928, anche a seguito di pericolose crepe che si erano aperte sul soffitto delle vecchie scuole presso Porta Pieve, costruite nel 1846 e utilizzate fino ad allora.
Ospitate provvisoriamente le classi in aule prese in affitto nel Palazzo delle Opere parrocchiali, Gandolfi chiese la attivazione del mutuo di 522.700 lire (concesso ma non erogato nel 1925) e intanto ne contrasse un altro provvisorio di 150.000 lire con la Banca del Monte di Bologna, per poter partire subito coi lavori, in attesa dei soldi da Roma (che arrivarono poi solo nel 1932).
Abbandonato il progetto Carpeggiani, era stato nel frattempo incaricato l’ingegnere comunale Berselli di predisporne uno nuovo, dai costi più accessibili, e, avuta l’autorizzazione prefettizia, Gandolfi affidò i lavori a trattativa privata al capomastro locale e amico Ernesto Francia. Il capitolato iniziale per la verità prevedeva un’asta pubblica, ma Gandolfi giustificò la sua scelta di una fra le ditte locali ( i muratori erano tanti in Argile) “onde lenire la disoccupazione che da parecchi mesi le tiene prive di guadagno”.
Dall’anno 1928 partirono quindi i lavori e Gandolfi continuò a premere presso gli alti gerarchi, soprattutto Dino Grandi (con quale aveva tenuto un fitto carteggio fin dal 1926), per ottenere l’erogazione del mutuo, nonostante le sue competenze istituzionali di allora fossero in altro campo, in quanto Sottosegretario agli Esteri. In ottobre fu necessario anche far muovere la Federazione del P.N.F. di Bologna, guidata allora da Leandro Arpinati e dal suo vice Mario Ghinelli per riuscire ad avere le travi di acciaio dalla ILVA di Piombino, bloccate da un disguido. Alla fine del 1928 fu comunque registrato il “1° stato di avanzamento dei lavori” ( carteggio in Arch. Com. Argile, faldone n. 560 “Scuole capoluogo. Costruzione”).
Nel dicembre 1929 fu approvato il ”4° stralcio dei lavori “e si fecero riverniciare molti banchi “per l’inaugurazione”. E’ scritto anche che furono abbattuti 20 platani che si trovavano nell’area circostante il nuovo edificio per rendere libero il cortile per le future “attività ginniche estive”
Dopo circa due anni di intenso lavoro, il 20 marzo 1930 fu presentato lo “stato finale dei lavori” delle nuove scuole elementari. In tutto erano venute a costare lire 609.214. E’ presumibile che per la costruzione dell’edificio siano stati utilizzati mattoni e laterizi acquistati dalla nuova fornace dell’ex sindaco Primo Cortesi, anche se delle relative fatturazioni e costi non abbiamo trovato traccia in archivio. Forse perché gli acquisti di materiali edilizi furono gestiti dal capomastro in trattative private.
Nell’agosto dello stesso anno 1930 il Podestà deliberò la trasformazione delle “scuole vecchie” in 6 alloggi popolari per altrettante famiglie del luogo.
Dall’anno scolastico 1930/31 le classi elementari furono ospitate nel nuovo edificio appena inaugurato. E finalmente gli alunni delle elementari poterono studiare in un bell’edificio appositamente costruito, con aule spaziose per tutte le 10 classi, palestra, servizi igienici doppi, abitazione per il bidello-custode, saletta per gli insegnanti, sotterraneo per caldaia, cortile e sistemazione decorosa che nei decenni precedenti non era mai stato possibile avere.
Nel 1932 una prima foto-cartolina immortalava le nuove Scuole comunali di Castello d’Argile con il suo piccolo percorso ginnico allestito nel cortile per la ricreazione estiva e un gruppetto di ragazzini in “pagliaccetto” che ci giocavano.
E iniziava così la sua lunga vita durata fino ai giorni nostri, superando persino le scosse di un terremoto.
14 Novembre 1943 – Il GIORNO PIÙ LUNGO PER ARGILE, QUANDO IL PAESE RISCHIO’ DI FINIRE AL ROGO PER UNA RAPPRESAGLIA FASCISTA
Un fatto che tenne il paese col fiato sospeso, e sotto minaccia di incendio per ore , accadde il 14 novembre del 1943, nel periodo travagliatissimo che era seguito alla caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 per effetto dell’Ordine del giorno di Dino Grandi e altri che, nel Gran Consiglio appositamente ed eccezionalmente convocato, avevano sconfessato Mussolini e la sua alleanza coi tedeschi; il giorno dopo il Duce era stato destituito da capo del governo e arrestato per ordine del re Vittorio Emanuele III.
La situazione però si era subito complicata perché i tedeschi furono pronti ad occupare militarmente l’Italia del Centro e del Nord, prima che vi arrivassero da sud gli Alleati angloamericani sbarcati in giugno in Sicilia; e con un raid fulmineo riuscirono a liberare Mussolini dall’albergo sui monti dell’Abruzzo dove era detenuto, e lo indussero a ricostituire una parvenza di nuovo governo, istituendo il 23 settembre la Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò sul lago di Garda, formalmente da lui presieduto con alcuni gerarchi, ma sotto il controllo tedesco.
Nel frattempo, l’8 settembre 1943, il capo del nuovo governo italiano provvisorio, generale Badoglio, dopo aver firmato l’armistizio con gli Alleati, emanò un proclama poco chiaro che sembrava porre fine alla belligeranza dell’Italia (guerra finita, tutti a casa?), ma che di fatto determinava un cambio di fronte dell’Italia, non più fascista e alleata dei tedeschi, ma divisa in due, e con i tedeschi padroni occupanti dal Lazio in su; mentre dal Sud avanzavano lentamente gli eserciti Alleati angloamericani.
In quei giorni del novembre ’43 il neonato, o ricostituito, Partito Fascista Repubblicano ( ribattezzato “repubblichino” dagli oppositori), doveva aprire il suo primo Congresso a Verona e le squadre di fedelissimi fascisti della zona cento-pievese e ferrarese e del nord Italia erano in fermento. I segretari del Fascio, vecchi e nuovi, erano mobilitati per far opera di proselitismo e reclutamento di vecchi e nuovi sostenitori, in una popolazione disorientata dall’incertezza della situazione e paralizzata dalla paura dei bombardamenti aerei alleati dal cielo e della opprimente occupazione tedesca in terra.
A Ferrara era stato nominato in settembre come “Commissario Federale” Igino Ghisellini, un fascista che già aveva ricoperto incarichi nel passato nel Fascio di Cento e di Casumaro dove abitava. Aveva trascorso la giornata a Verona per i preparativi del Congresso, si era poi fermato a Ferrara per raccogliere documenti e si apprestava a rientrare a casa a Casumaro con l’auto della federazione. Ma a casa non rientrò, e i suoi collaboratori lo aspettarono invano la mattina dopo davanti alla sede di Ferrara.
Con grande sconcerto e sorpresa si venne a sapere in mattinata che il suo corpo senza vita, crivellato da 6 colpi di pistola, era stato trovato a Castello d’Argile, in un fossato lungo la via Oriente, con l’auto abbandonata sul ciglio, nei pressi del centro abitato. La notizia si diffuse in un baleno tra bolognese e ferrarese e fino a Verona; e fu tutto un accorrere di autorità “repubblichine”, gerarchi e camicie nere dai paesi vicini, vice Prefetto e vice Questore di Ferrara, tenente dei Carabinieri di Cento e capo della polizia politica, per svolgere le prime indagini e scoprire gli autori dell’omicidio. Ma poi vennero e presero in mano la situazione le squadre fasciste di Ferrara, Cento e Pieve, estremamente eccitate e animate dall’intento di vendicare il “camerata” Ghisellini, compagno e amico di lunga data.
Ritenendo che responsabile dell’uccisione di Ghisellini potesse essere qualcuno del paese in cui era stato trovato il cadavere, gli squadristi decisero seduta stante di fare giustizia sommaria e infliggere una punizione esemplare incendiando il paese intero. Alcuni cominciarono a posizionare i lanciafiamme, altri a spargere benzina e nafta presso le porte delle case del centro; e la gente, spaventata, doveva star chiusa in casa, aspettando e temendo il peggio.
Quando sembrava che il peggio stesse per accadere, intervennero Gabriele Gandolfi, già Podestà di Argile per 10 anni e allora di nuovo “Delegato podesterile”, e suo genero Eolo Fagioli, qui residente ma ben conosciuto dai fascisti di Ferrara, dove aveva ricoperto incarichi importanti . Grazie all’autorità, al prestigio e alle amicizie di cui godevano, Gandolfi e Fagioli riuscirono a convincere anche gli squadristi più esagitati che la gente di Argile non poteva avere alcuna responsabilità nell’uccisione di Ghisellini, avvenuta sicuramente altrove, e il cui cadavere era stato scaricato qui per caso, volutamente lontano dalla residenza dei colpevoli.
Il paese così evitò il rogo, e case e abitanti di Argile furono salvi da quella improvvisata e immotivata rappresaglia.
Ma non si placò il desiderio e la volontà di vendetta delle “camicie nere” che in gran parte tornarono quella notte stessa a Ferrara e misero in atto una strage che verrà ricordata come “la lunga notte del ‘43” (in un film di Florestano Vancini, liberamente ispirato al fatto e a una ricostruzione letteraria di Giorgio Bassani)). Pagina tragica e crudele che macchiò subito di sangue la neonata Repubblica sociale di Salò e i suoi sostenitori. Infatti, alcuni gerarchi ferraresi, accompagnati da squadre di “camicie nere” locali, di Padova e dintorni, venuti appositamente da Verona, iniziarono a scorazzare in camion e auto per la città, rastrellando 74 persone ritenute oppositori del regime. Tra le ore 5 e le 6 del mattino prelevarono 11 dei detenuti politici arrestati quella notte o nei giorni precedenti e li portarono presso il muretto che cinge le Fosse del Castello Estense, per ucciderli a raffiche di mitra.
I loro corpi restarono esposti per ore sul posto perché la gente vedesse come finivano gli antifascisti.
Nonostante le successive indagini e un processo del 1948, non è ancora del tutto chiara e certa la ricostruzione e la responsabilità della uccisione di Igino Ghisellini.
Per qualche tempo fu accreditata negli stessi ambienti fascisti l’ipotesi, o il sospetto, che ad uccidere Ghisellini fossero stati altri “camerati” ostili alla sua politica moderata e di pacificazione. Successive ricerche e rivendicazioni esplicite comparse sulla stampa portarono infine alla conclusione che ad uccidere il Commissario federale di Ferrara furono i partigiani delle prime “Brigate d’assalto” che si erano attivate nei primi giorni di novembre, 1943 dando avvio alle prime azioni di lotta di “Resistenza”, che si intensificheranno successivamente e si estenderanno in tutto il Nord Italia nell’ambito del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per liberare l’Italia dai nazisti tedeschi occupanti e dai fascisti italiani inquadrati nella Repubblica di Salò, loro alleati e subordinati (maggiori informazioni e note bibliografiche sul vol. II, pag. 328-329)
“PIPPO”, L’OCCUPAZIONE TEDESCA E I BOMBARDAMENTI ALLEATI SU BOLOGNA, ARGILE E CENTO (16 luglio1943- 21 aprile 1945)
Dai frammenti di memorie d’infanzia del tempo di guerra degli anziani argilesi ultrasettantenni compaiono spesso citazioni di un misterioso aereo, soprannominato, chissà perché, “Pippo” , temuto da tutti, e il cui passaggio in cielo di notte esigeva la chiusura ermetica di porte e finestre perché non trapelasse un filo di luce che potesse attirare la sua attenzione.
“Pippo” esisteva veramente, ma non era né un bombardiere, né un caccia, ma un aereo da ricognizione inglese e/o americano, che sorvegliava le zone occupate dai tedeschi per coglierne gli eventuali movimenti e attività notturne che comportassero qualche forma di illuminazione. Se emergeva qualche indizio sospetto potevano attivarsi i caccia/bombardieri che scaricavano bombe sul luogo indicato dal ricognitore, la notte stessa o il giorno successivo.
I bombardamenti Alleati su Bologna, come su tante altre città del nord, ebbero inizio nell’estate del 1943, a partire dal 16 luglio, poco dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, e proseguirono con notevole frequenza e potenza fino al 18 aprile 1945. Si contarono 6 incursioni tra luglio e ottobre 1943, 33 nel corso del 1944 (l’anno più lungo e duro della guerra per Bologna) e 11 nei primi mesi del 1945, essendo la città a ridosso del “fronte” di combattimento e di quella “linea gotica” sull’Appennino fortemente difesa dai tedeschi e che costituiva l’ostacolo più duro da superare per gli Alleati. Tutti questi bombardamenti provocarono almeno 2.500 morti tra i civili e la distruzione, totale o parziale, di migliaia di edifici, abitazioni, fabbriche al servizio dei tedeschi (es. Ducati), stazione e linee ferroviarie, ponti e quanto si trovasse nelle vicinanze o potesse essere sospetto di presenza di insediamenti tedeschi o strutture da loro occupate e a loro utili.
La paura dei bombardamenti era quindi sentimento largamente diffuso e più che giustificato tra i bolognesi, anche nella circostante provincia, e aveva determinato anche la fuga dalla città di tanti “sfollati”, cittadini che cercarono rifugio nei piccoli paesi e nelle case di campagne che si ritenevano più sicuri e meno esposti al rischio di bombardamenti. Tanti trovarono ospitalità anche nel territorio di Castello d’Argile, accontentandosi di sacrificatissime sistemazioni in piccole stanze dove si ammassavano intere famiglie.
La paura dei bombardamenti indusse anche vari argilesi a costruire improvvisati e poco affidabili “rifugi antiaerei”, privati se in case di campagna, o di pubblico accesso se nei pressi del centro abitato, per poter trovare riparo in caso di incursioni, sempre annunciate dalla sirena della fornace che qualcuno attivava all’arrivo di aerei in formazione di attacco. Si ha notizia di un rifugio costruito presso la villa di Cortesi, uno presso la casa degli Orsi, uno nelle cantine delle “Case popolari”, e un piccolo fabbricato definito “paraschegge” davanti all’entrata del campanile. Di notte vigeva comunque il “coprifuoco”, cioè il divieto di uscire di casa.
Fortunatamente per gli argilesi di bombardamenti mirati sul loro territorio se ne registrarono pochissimi. Fino a metà del 1944 non ne risulta nessuno; solo il 2 maggio, fu registrato un lancio di 3 bombe cadute (forse per errore) sul fondo ”Macero” in via Alpa a Mascarino, senza provocare morti o feriti.
Ma nel corso di quella estate del ‘44 si installarono in ambito parrocchiale (comprendente parte di Volta Reno) molti soldati tedeschi: a villa Talon a Volta Reno, a villa Filipetti e alla villa di Primo Cortesi in Argile. I tedeschi occuparono anche le scuole comunali per adibirle a “ospedale” (in realtà un piccolo ambulatorio segnalato con una croce rossa sul tetto per evitare eventuali bombardamenti). Di queste presenze se ne trovano scarne citazioni in pagine del “Cronicon” del parroco don Gandolfi e poi in un documento comunale relativo ai danni di guerra compilato nel 1945 (a guerra finita), in cui si riferiva di mobili, telefono, macchine da scrivere e sedie requisiti in Comune e nelle scuole e portati nelle ville occupate, per uso dei tedeschi.
Ma nel mese di luglio si verificarono comunque due eventi tragici indicativi del grave stato di tensione in cui si viveva, preceduti da un atto intimidatorio rilevante: il 23 luglio furono arrestati dalla polizia germanica il parroco don Gandolfi, il Commissario prefettizio del Comune (allora, di nuovo per qualche mese, Gabriele Gandolfi), il marchese Talon e suo figlio. Portati a villa Minelli a Bagno presso il Comando germanico, poi a Bologna in S. Giovanni in Monte, furono sottoposti a interrogatorio con l’accusa di propaganda antifascista e antitedesca e presunto accordo coi partigiani. Non avendo rilevato prove certe per tali accuse, il parroco e gli altri arrestati furono presto rimessi in libertà.
Ma nel frattempo, mentre in tutto il bolognese contadini e braccianti antifascisti mettevano in atto “la battaglia del grano”, con atti di resistenza e guerriglia per impedire che il grano raccolto e trebbiato finisse in mano ai tedeschi, il 24 luglio, presso un fondo di proprietà dei Calzolari a Venezzano, su via Alpa, un gruppo di partigiani sparava contro le Guardie Nazionali Repubblicane che “presidiavano la trebbiatura” per conto dei tedeschi. Ne furono uccisi 2: Vasco Michelini, argilese, e Francesco Mazzanti operaio bolognese “sfollato” a Venezzano.
La notte successiva, 25 luglio, si compì la feroce rappresaglia fascista, secondo la logica disumana che allora dominava animi e menti carichi di odio. A farne le spese furono: Attilio Gadani, ex sindaco socialista che, pur non facendo parte di brigate partigiane, né ritenuto responsabile dell’uccisione dei 2 militi, era pur sempre stato oppositore del regime, perseguitato e arrestato in passato, e sempre “sorvegliato speciale” dalle autorità del regime; insieme a lui fu prelevato Cesarino Giuliani, bracciante comunista di origine argilese, emigrato a Bologna e allora “sfollato” a Venezzano da qualche mese. I due furono portati in via Alpa, nei pressi della casa colonica dove erano stati uccisi i militi, furono lungamente torturati e infine uccisi con arma da fuoco (v. vol. II pag. 336).
Un mese dopo, esattamente la notte tra il 23 e il 24 agosto, in Argile scoppiò un bomba diretta alla Casa del Fascio, ex Casa del popolo occupata dai militi repubblichini, che colpì però in pieno, per presumibile errore, soprattutto la casa situata dalla parte opposta della strada. Molti i danni comunque alla Caserma, agli edifici vicini, presso Porta Pieve, nessun morto e qualche ferito leggero. Non si trattava di una bomba caduta dal cielo da qualche aereo, ma di una carica di tritolo lanciata maldestramente da un camioncino guidato da partigiani, che in quel periodo erano molto attivi anche nei paesi vicini in azioni di sabotaggio, sempre seguite da sanguinose rappresaglie.
Non ci furono però per questo atto ulteriori rappresaglie locali e si preferì attribuire il lancio della bomba, in una relazione ufficiale, e per voce popolare, ad una fantomatica “incursione aerea”, o al misterioso “Pippo”, che in realtà non c’entravano.
Ma le bombe che fecero alcune vittime in Argile caddero davvero proprio in uno degli ultimi giorni di guerra, il 21 aprile 1945, quando Bologna era già libera e gli eserciti Alleati, superata finalmente la barriera della famosa “linea gotica”, proseguivano nella avanzata verso nord, inseguendo i tedeschi, in ritirata ma ancora aggressivi e decisi a non arrendersi, ingaggiando duri scontri armati nell’area dei paesi di pianura tra Castel Maggiore e S. Pietro in Casale; mentre i bombardieri e le truppe corazzate Alleate bersagliavano le postazioni tedesche sul Reno presso Cento, e il ponte sul fiume. E nel corso di questi bombardamenti aerei iniziati il 19 aprile (ben visibili e visti anche dalla gente di Argile), insieme ai cannoneggiamenti da terra, partirono dai carri armati inglesi le granate che caddero in territorio argilese in due punti, la sera del 21, causando la morte di 4 persone colpite dalle schegge.
Ne furono vittime: Adolfo Ferrari, birocciaio, padre di 4 figli, colpito mentre entrava nel rifugio presso la casa di Aldo Orsi; Giovanna Cortesi, una bambina di 9 anni, nipote del cav. Primo Cortesi, Laura Contini in Zanetti, casalinga di 39 anni, “sfollata”; Luisa Capelli, 19 anni, di origine argilese, anch’essa “sfollata” nei casamenti di proprietà Cortesi intorno alla villa; tutte e 3 colpite mentre cercavano di entrare nel vicino rifugio.
Il giorno seguente fu ancora più tragico per i paesi vicini, con ulteriori conflitti a fuoco tra partigiani e tedeschi, e stragi di combattenti e civili per rappresaglia. Solo il 23 aprile 1945 tutto il territorio bolognese potè dirsi finalmente liberato.
Concludiamo questo breve sunto di quei giorni terribili riportando le significative note scritte sul “Cronicon” di Don Vincenzo Gandolfi: ”20 aprile. Si ha notizia dell’entrata degli americani e polacchi in Bologna. Cominciano le incursioni aeree per distruggere il ponte sul Reno costruito recentemente in parrocchia (quello in legno verso Bagnetto, ndr) e l’altro principale stabile a Cento; ambedue vengono colpiti ed il passaggio su di essi è sospeso. Però le truppe notte e giorno affluiscono , spargendo il terrore, rubando ogni cosa che torni loro utile ed anche distruggendo per brutalità; entrano nelle case in gran parte vuote e fanno man bassa di tutto….. La sera di sabato 21 alle 20 arrivano le prime cannonate e vi sono 4 vittime. Nella notte e nella domenica seguente continuarono a fioccare, ma soltanto una decina colpiscono case in paese e con lievi danni.
Sono due giorni e due notti di spavento. All’alba del lunedì non si trovano più tedeschi in paese e alle 7 arrivano le prime autoblindo e carri armati americani accolti con entusiasmo”.
Il parroco di Argile concludeva ovviamente la sua cronaca di guerra da sacerdote, ringraziando la Madonna di S. Luca, il Signore e tutti Santi per la loro intercessione e per l’avvenuta Liberazione.
E le campane suonarono a festa.
Anche il parroco di Venezzano, Don Luciano Bongiovanni, lasciò scritte eccezionalmente sul suo Cronicon nell’aprile 1945, alcune note di cronaca simili, sottolineando infine la grande gioia della popolazione e celebrando subito una Messa solenne con “Te Deum” di ringraziamento.
Magda Barbieri1
(1) Testi sono stralciati e riassunti dal libro di Magda Barbieri “La terra e la gente di Castello d’Argile e di Venezzano ossia Mascarino” vol. II . 1997, nelle cui pagine sono rintracciabili le relative fonti con note archivistiche e bibliografiche.